(questo post non ha titolo)
Ho l’impressione di essere invecchiata. Mi attardo davanti allo specchio, indugiando ad un palmo dalla mia faccia. Mi guardo, distante. Ogni tanto ci vuole uno sguardo che non dice nulla e si limita a guardare.
Possiedo uno strano modo di arrendermi di fronte alla mia immagine riflessa. Vedo tutto con impietosa oggettività: ciò che mi disturba, ciò che seduce, ciò che abbonda o si presenta, inaspettato.
Gioco con l’ombra delle prime rughe accentuandole con qualche smorfia. Lascio che i miei piedi scalzi si intorpidiscano a contatto delle piastrelle gelide del bagno. La solitudine è anche questo guardarsi allo specchio e provare a riconoscersi giorno dopo giorno.
Accoccolarsi sul pavimento e lasciarsi penetrare come un’amante da un vago senso di inquietudine. I capelli raccolti, stretti sopra la nuca, ancora umidi -tutto attorno vapore acqueo che odora di calendula-.
E poi alzarmi piano, anchilosata, lasciare il viso abbandonato sul tappeto e trasclocare me stessa ed i miei pensieri nel letto. Il mio tutto restano grappoli di affilate assenze.
Quando mi guardo allo specchio ultimamente vedo l’altra parte di me, l’altra parte di Martina che mi fissa e mi ricorda gli anni che passano inesorabili e quei grappoli affilati di assenza traffiggono le carni. Stanche.
Tu splendida.
Sai cosa penso, da un pò di tempo, leggendo le tue belle riflessioni?
Penso che lette in una performance, in cui vi sia anche musica, sarebbero molto interessanti…
Scaramouche
Molto meglio.
[Anche se sempre molto triste, sì..]
Finché riuscirai a guardarti in quello specchio.
Con l’obbiettività che hai
Finché l’anima che vede, con o senza rughe; sarà pulita.
Finché non smetterai di cercare
L’invecchiare non sarà solitudine.
Sarà crescita.
Sarà consapevolezza della bellezza di ogni età.
Della tua bellezza.
Paura delle rughe fisiche? Di quelle dell’anima?
O paura di chi ti vedrà invecchiare senza il rispetto necessario per la tua poesia sempreverde?
Quanto a me – io che ho sempre piantato uno spillone nella carne del mondo tutte le volte che ho voluto – non ho più alcun rispetto per chi giudica a partire dalla superficie delle cose o dei corpi – io che ho sempre cercato di devastare le mie stesse parole in una ridda di definizioni e proclami.
@ Martina: splendida? no, nemmeno lo vorrei. la bellezza sfacciata mi rende diffidente – perchè parlavi della bellezza fisica, vero? 😉 –
@ Scaramouche: trovi? Sarei (s)travolta dalla timidezza. Non riuscirei, credo.
@ Miss: l’obiettività c’è sempre stata. Non so raccontarmela, ecco. E poi sapersi guardare ti aiuta ad accettarti, no?
@ Maldoror: paura delle rughe fisiche? No, per niente.
Prima o poi diventiamo tutti tanti piccoli rottami 🙂
Le rughe dell’anima vanno altrettanto bene. Chi ce l’ha un po’ sgualcita mi sta più simpatico.
Ciao Cris, sto bene, grazie. Tante novità, tante sorprese e tanti specchi ostili anche per me, a volte. Un bacio.
Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza,
non di questo o di quello,
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sè,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per il nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone qualcuno,
tutte queste cose –
queste e ciò che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente,
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè io voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta e sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale infelicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…
Fernando Pessoa
Un saluto…
A.
Accidenti… leggendo il tuo post, cercavo di immaginarti mentre ti specchiavi, e come mio solito cerco un riflesso di me in quello che leggo degli altri, e sai che ho visto? Che quando mi guardo allo specchio, troppo spesso non riconosco chi vedo, non è l’immagine a cui ero abituata, non è quella che è cresciuta con me, …è un bel dono riuscire a vedersi, anche se come ogni verità può essere dura, ma è sempre un bel dono, perché è sempre meglio la verità della falsità… un bacio
(nn mi sono più fatt viva xke ho cambiato pc e nn riuscivo più trovare l’indirizzo… poi grazie a google… ^_^)
e poi ti peserà
mano a mano ti consumerai
e il tuo specchio manderà immagini
nelle quali
farai sempre più fatica a riconoscerti
quando te lo fanno notare è peggio, non se ne esce più.
ed io che ho smepre creduto ne fossi immune
immune deficenza
dai non faccia così crisalide. forse un buon rimedio è qualcuno che le dica: “non preoccuparti, fei belliffima!”
Ficuramente le farà bene.
bacio.
a me gli specchi piace romperli
e’ solo colpa tua se esistono
Altrove
Altrove è un posto che conosco
paese di distanze e di contatti mancati
freddo di stagione e di solituidini cercate
eremitaggio disperato
e subitanei ritorni.
Posto sensibile al vento che soffia a fior di pelle
brividi a corrente alternata
che si succedono in corsa
fra un viaggio e l’altro.
Altrove non è un punto preciso,
che lo puoi trovare sulle carte.
Altrove è un’assenza,
è svenire: provare per un attimo
l’esperienza di morire
e poi tornare a sentire l’anima in bilico
fra l’io e il noi.