Delle sconfitte
Libra è rabbiosa.
Andarla a trovare in ospedale è straziante.
In quel reparto non c’è tempo se non un tempo frammentato da sporadici suoni di campanello. Qualcuno vuole entrare.
Non c’è distinzione tra giorno e notte, reale e fittizio, opportuno e irragionevole.
Sono stanze bianche che puzzano di candeggina, senza vasi di fiori sul comodino, senza portaombrelli o pettini con la coda.
Libra ha un pigiama verdino, non si lava i capelli da cinque giorni.
Entro e mi abbraccia, poi mi sussurra all’orecchio che vuole uscire e andare alle Canarie, ma non ha i soldi.
Parla con una logorrea ottusa. Parla e si tortura le dita, lo sguardo che vaga e poi si inchioda su un dettaglio. Quando trova un’àncora sembra rifiatare. Poi ricomincia, frenetica.
Io prendo le sue mani ossute tra le mie e le chiedo come sta.
Sto di merda, non lo vedi? Qui mi stanno uccidendo; il mio io -e si indica la pancia- non mi parla più. Fuori avevo un equilibrio, qui mi sono persa.
Non è vero Libra. Tu fuori non avevi un equilibrio, altrimenti non saresti qui.
Mi mancano pezzi, inizio a dimenticare le cose. Scrivo tutto su un blocco note così non le perdo.
Cosa non vuoi perdere? La faccia di mio padre e le giornate in montagna quando ero piccola.
Sono ricordi belli, fai bene.
Dopo il duemilatre mi mancano alcuni nomi e i perché. Potevo fare e non ho fatto. Dovevo risolvere tante situazioni, avevo iniziato con mia madre ma poi […] Ho paura di stare qui e di uscire da qui.
Adesso devi solo fidarti di qualcuno, non puoi fare tutto da sola.
No, non mi fido, loro se ne sbattono di me. E poi è troppo tardi. Io con loro non ci parlo.
A questo punto alza il muro. E’ la negazione, uno snocciolarsi di no e vaffanculo e rifiuto del cibo, di mancanza di collaborazione e apertura. Passo venti minuti a tentare di ricondurla al qui e adesso. Niente. Mi sento uno schifo, inutile anche in termini meramente pratici.
Non avevo l’ambizione di capire, me l’avevano anticipato. Però speravo di portare una parentesi di vita tangibile, lì dentro; di aprire uno spiraglio a cui lei potesse ancorare lo sguardo e la deriva del suo pensiero. Invece no.
Chiedo all’infermiera di restituirmi l’ombrello che ha in custodia, faccio una carezza a Libra e le dico che tornerò prima del suo compleanno.
Lei mi guarda vacua e dice ciao.
La rabbia, a differenza di altri sentimenti, non è una questione di fiducia.
E’ democratica, brucia tutti.
La mente è un groviglio inestricabile. 🙁
Non credo esistano parole adeguate.
Vorrei che si potesse intervenire per Lei portandola via da luoghi dove curano l’anima cancellandoti.
Vorrei non sentire così tangibilmente il tuo dolore.
E il suo.
Hai ragione sulla rabbia: l’uniac cosa davvero democarica in questa storia.
(scusa la banalità delle mie parole..)

Una strada precisa, come una graffetta in mezzo a un vecchio quaderno, per ricordare di riaprirlo..
è quel troppo tardi che la incastra. bisognerebbe riuscire a partire da una piccola cosa. solo una, scordando tutto il resto, e di lì ricominciare.
un sorriso
Ciao Cris, è sempre bello leggerti.
La candeggina di quelle stanze bianche annulla i colori. Sottrae. E basta.
Lascio un abbraccio.
“Ecco perché voglio gridare la mia fragilità, dirlo ai miei matti, a tutti coloro che corrono da me per ancorarsi a una roccia. Devono sapere che semmai si attaccano a un vetro di Boemia, a un vaso di Murano, colorato, magari soffiato in forme curiose e piene di fascino. Come un vetro io, psichiatra fragile, tante volte ho corso il rischio di rompermi.
Una gracilità che però aiuta l’altro a vivere, che mi ha permesso di capire la fragilità e di rispettarla, di stare attento a non manipolare gli uomini, a non falsificarli. Ho amato persino i frammenti di uomo, mi sono dedicato con pazienza a metterne insieme i suoi pezzi.
La fragilità rifà l’uomo, mentre la potenza lo distrugge, lo riduce a frammenti che si trasformano in polvere.” (da V. Andreoli, L’uomo di vetro. La forza della fragilità)
Ciao Cris. Mi è piaciuto molto il tuo post (come sempre). Mi sono permesso di condividerlo sul mio blog, nella categoria blogsfera, in alto a destra, naturalmente con tanto di attribuzione e link. Se la cosa ti scoccia, provvederò a rimuoverlo. Un saluto.