Delle ripartenze
A volte credo di potercela fare.
Esco in terrazza, guardo il cielo, respiro l’aria di settembre e mi accorgo che respiro ancora, in fondo.
Con la giusta dose di gocce riesco a dormire una manciata di ore, macino chilometri in bicicletta, accetto qualche invito per l’aperitivo.
A volte credo di potercela fare.
Mi dico che merito di gettare lo sguardo avanti, di abbozzare un sorriso, di non sentirmi completamente depauperata di tutto quello che ho regalato, incondizionatamente.
Mi ripeto che non potevo fare di più, sopportare di più, sperare di più e che sono in pace con me stessa. Sfibrata ma in pace.
Dura poco.
Dura fino a quando non riesco a spegnere il cellulare prima di provare a dormire, fino a quando non mi connetto alla web cam che inquadra la piazza dove passavi a salutarmi, fino a quando non penso a quel gufo di paglia inchiodato alla trave del soppalco.
Crolla di fronte alla mia verità, a quello che sono e che sono abituata a non ricevere e a farmelo andare bene perché è sempre stata la regola.
Tu eri la mia smentita, sei entrato qui prima ancora che nella mia vita reale, hai conosciuto ogni mia emozione prima ancora di sapere se avessi gli occhi neri o verdi.
Leggerai anche queste righe, poco importa. Non ho mai nascosto nulla, omesso nulla, negato nulla. Io.
A volte credo di potercela fare.
Quando l’orgoglio mi raddrizza con una scudisciata ed ignoro il cuore che si crepa come una maiolica.
Quando guardo il calendario e ripercorro i giorni e le settimane ed i mesi in cui non avevo il beneplacito per raggiungerti. Settantacinque giorni con la valigia accanto al letto, pronta.
Quando penso al giorno del mio compleanno mentre sola, seduta in terrazza, mi preoccupavo più della tua situazione lavorativa che del fatto che io fossi lì, sola, seduta in terrazza, il giorno del mio compleanno. E questo perché lo avevi deciso tu.
Il tuo miracolo, la tua priorità, dicevi. Stupito d’essere riuscito a fidarti ancora di qualcuno, di amare nonostanze il passato, di avere a che fare con qualcosa di pulito.
E poi. Nessun comportamento che desse credibilità a quelle parole, nessuna premura, nessun gesto spontaneo per il piacere di vedermi felice. E io, cieca. Un po’ come credere a Babbo Natale: ci vogliono tanta fede e un po’ di ingenuità ed io le avevo entrambe.
A volte credo di potercela fare.
La razionalità, uno sbilenco senso della giustizia mi dicono che va bene così. Sei lontano, non ti vedrò mai più, spegnerò il telefono di notte, arriverò al punto di dubitare che questo anno sia stato realmente vissuto.
Sì, a volte credo davvero di potercela fare.
Lo sconcerto si risolverà in un asciutto silenzio ed io smetterò di cogliere tutte le allusioni a te di cui è pieno il mondo.
Perchè ci mettiamo a scrivere di noi.
E cominciamo a riscriverci con altri.
E dei legami che sembrano solo nero su bianco cominciano ad emozionarci.
Escono dagli schermi.
E sono come la vita reale.
Imprevedibili.
E quella lontananza che prima era l’angolo in cui volevi riparati diventa il punto da cui fuggire. Forse è più facile proprio perchè lontana.
Ed io ho imparato che le persone che hanno sofferto non si fidano più.
Ti mettono in mano la loro vita e quando lo capiscono ti odiano.
Perchè tu puoi fargli più male di quanto già hanno sofferto.
Ti decidono.
Ti legano.
Ti sciolgono.
E sarà sempre pieno il mondo di quelle allusioni fintanto che ne sarà pieno il tuo cuore.
sicuramente ce la farai. il punto è come, cosa farai. buon pomeriggio
So già cosa e come farlo, nell’immediato.
Poi si vedrà.
Tu non sai come vorrei una bacchetta magica solo per te
Ce la farai. L’essenziale è non smettere di tentare.
Ma certo che sì, certo che ce la si fa, così come ce la si è fatta bastare.
Pensaci, Caroline. Se sei riuscita a flagellarti aspettando accanto a una valigia, sarà semplice come bere un bicchier d’acqua ricominciare da piccole cose: biciclettate, aperitivi, un libro, un film.
Conosco quell’aspettare, anche se non lo facevo accanto a una valigia. Conosco quel sollievo del riuscire a spegnere il cellulare, era come riuscire a spegnere i pensieri e spesso era accompagnato da un bel mavaffan. So che lo sai, che tutto passa ma resta prima il livido e poi un’altra cicatrice sul cuore, lo so che lo sai. Però te lo dico con un abbraccio: passa, cambia, e ti ritroverai cambiata in dose omeopatica. Un altro viatico.
Tutto passa, sì.
E tutto resta, passando. Cicatrici, lividi, notti bianche.
Il dolore diventerà tristezza e andrò avanti, come fanno tutti. Non sono migliore né differente, nella mia sofferenza.
Però, adesso, quel futuro mi sembra così lontano…
T’abbraccio, Simo.
Penso di capire bene cosa stai passando. Per certi versi ci sto passando anch’io. Non posso dire di essere esattamente nella tua stessa situazione, ma ci sono molti punti di contatto.
Ti abbraccio, di piu’ non posso fare.
E spero che venga presto il giorno in cui l’animo si sentira’ sollevato della pena, e si guardera’ avanti.
Ci sono persone che si portano dentro un’oscurità.
E per quanta luce tu possa fare nella loro stanza oscura sarà sempre il nero a prevalere.
Perchè chi ha un segreto ha sempre un potere di attrazione maggiore.
Fa parte della vita amare e perdere l’amore.
Dovrebbe essere coscienza delle persone non lasciarti appeso ad un chiodo.
Quindi si diciamo che uno alla fine si riprende. Ma un pezzo di te lo hai buttato nel cesso.
L’amore è anche una cazzo di responsabilità.
Cos’è hai finito le parole?
Non bastano più è?
Ho meno parole da scrivere e più vita da vivere.
Al momento.
ottima scelta ^_^
io no so se hai capito chi io sia, ma mi dispiace. Davvero. Questa volta ci avevo creduto.
Per quello che può valere, un abbraccio.
Raramente mi cimento nella “caccia a chi sta dietro il nick”…
Tuttavia, se il tuo nome inizia per F, l’ho capito, questa volta.
🙂