Di Chiara
Chiara non è un cane, è stata trattata peggio di un cane.
Otto anni di segregazione, di vuoto pneumatico dal consorzio umano, a dormire tra il pattume, le feci, la polvere.
Chiara che probabilmente ha chiamato, magari urlato, sicuramente pianto.
Chiara che ha studiato all’università e adesso non si ricorda il colore del cielo perché le tapparelle e gli infissi sono sigillati.
Chiara con le giunture anchilosate, i muscoli atrofizzati, fotosensibile, spaurita.
Molti a dire che la madre è un mostro anaffettivo. Altri a ipotizzare che Chiara soffrisse di agorafobìa e desiderasse lei stessa il suo isolamento. Tutti a pontificare su questo binomio familiare agghiacciante. La questione è orribilmente più ampia.
Otto anni di fetore che saturava insopportabilmente la tromba delle scale e nessuno che mai ha chiamato i vigili del fuoco, la polizia, un sacerdote, un esorcista, un cazzo di nessuno.
Chiara stava peggio che in un manicomio perché almeno tra pazzi si interagisce, ci si strappa i capelli, ci si sputa addosso, si fanno passeggiate nervose in cortile.
Chiara è vittima dell’indifferenza, della morte civile, della vergogna di una madre indegna.
Chi è Chiara? Chiara non esiste.
Nessuna giustificazione o spiegazione.
Quando una società scopre simili realtà ha fallito, su tutta la linea.
Sono spietata: riverserei tutto il pattume, le feci, le carabattole nelle ordinate case dei vicini. Sono colpevoli quanto la madre. A lei l’ergastolo alle condizioni di Cagliostro.
Quando si presentano queste occasioni l’umanità fallisce sempre, non c’è rimedio.
Siamo un virus che infesta e distrugge.